Storia della carbonara – Capitolo 5. L’invenzione della carbonara

Considerando i documenti e le ricette raccolti finora, sembra che si possa stabilire con sufficiente chiarezza che la carbonara sia nata negli anni ’40 del Novecento a Roma o nelle immediate vicinanze. La pasta condita con cacio e uovo descritta nel ricettario napoletano di Francesco Palma, del 1881 può essere considerato un precedente, ma solo nel senso più ampio del termine di fenomeno che ha creato i presupposti per la nascita della carbonara, nulla di più. È piuttosto ovvio che nessuna ricetta possa nascere senza un adeguato retroterra, ma attribuire i natali della carbonara alla Napoli del XIX secolo sarebbe un’insensata forzatura.  

La carbonara è la rappresentazione tangibile dell’incontro tra due culture lontane, ma solo apparentemente, dal punto di vista gastronomico. La massiccia emigrazione italiana aveva esportato i costumi alimentari del Belpaese in America già a partire da metà Ottocento. Alcune grandi città, in particolare New York, il principale porto di collegamento con gli Stati uniti, avevano visto crescere vere e proprie città dentro le città che conservavano usi e costumi culinari dei paesi di provenienza. La pasta come nessuna altra specialità aveva fatto breccia nell’alimentazione statunitense, anche se per molto tempo fu percepita come un cibo esotico. 

Subito prima del secondo conflitto mondiale però non era più una novità, soprattutto nella costa orientale degli Stati Uniti. Si pensi solo che Giovanni Buitoni, l’imprenditore italiano che tutti conosciamo nel 1940 ebbe un’idea visionaria e senza precedenti quando inaugurò un proprio ristorante a Times Square dove un nastro di cuoio trasportava porzioni di spaghetti al sugo direttamente al tavolo dei clienti. Pagando 25 centesimi si accedeva al ristorante attraverso un cancello girevole e si potevano mangiare spaghetti al sugo a volontà. Il nastro trasportatore e la formula “all you can eat” applicata al cibo italiano per eccellenza a New York nel 1940 danno la misura del genio del fondatore della Buitoni Food Corporation e al rapporto tra gli americani e la pasta. Il ristorante fu (purtroppo) chiuso definitivamente nel 1960, ma il suo successo contribuì all’apertura di una fabbrica di sughi pronti a Brooklin. 

Se gli spaghetti al sugo rappresentavano la cultura gastronomica italiana, l’incontro definitivo tra i due mondi avvenne con la sovrapposizione di due concezioni gastronomiche diverse, ma complementari, all’interno dello stesso piatto. Le uova e il bacon portati in Italia sotto forma di razioni alimentari dei militari statunitensi si unirono con l’italianissima pasta condita con il formaggio. Il connubio fu una ricetta equidistante dai rispettivi gusti alimentari, un ponte gastronomico tra le due sponde dell’Atlantico. Un piatto americano nato in Italia: nessuna bandiera comune sarebbe stata più forte, nessuno statista avrebbe potuto fare di meglio. La carbonara ebbe un immediato successo per questa ragione. La sua fama venne echeggiata di pari passo negli Stati Uniti e in Italia decretandone la fortuna. 

Questa tesi è ormai comunemente accettata, ma molte delle speculazioni sulle origini della ricetta nascono dal fatto che nessuno è ancora riuscito a spiegare in maniera convincente da dove nasca il nome “carbonara”. Di solito le ipotesi più citate fanno riferimento a tre possibili derivazioni: la carboneria, i carbonai e il colore della preparazione 

La prima ipotesi fa riferimento alla società segreta della carboneria che ha avuto inizio con l’opposizione alla politica napoleonica in Italia nei primi dell’Ottocento per concludere definitivamente le attività verso la metà dello stesso secolo. Nonostante proprio in questo periodo vengano dati alle stampe diversi ricettari nel territorio di Napoli, dove la carboneria vide i natali, nessuno di essi ne fa cenno. A meno che i carbonari non fossero maestri anche nel coprire le loro tracce gastronomiche e abbiano gelosamente custodito il segreto della carbonara, non si spiega la totale assenza di qualsiasi fonte scritta a riguardo. 

Illustrazione di un gruppo di carbonari partenopei

Veniamo ora ai carbonai, lavoratori appartenenti ai ceti più bassi della società che erano costretti a traferirsi in montagna per molti mesi, spesso con la famiglia a seguito, per raccogliere la legna e trasformarla in carbone. Questo antico mestiere, duro e faticoso, è andato a scomparire nel secolo scorso con l’avvento dei moderni combustibili. Delle loro abitudini alimentari si sa poco o niente e di sicuro negli anni Cinquanta, quando la carbonara fa la propria comparsa, la loro presenza era irrimediabilmente in declino. Pensare a una tradizione gastronomica secolare tramandata dai carbonai umbri o laziali è tanto romantico quanto improbabile. È molto più realistico pensare che un carbonaio del XIX non potesse sfuggire alla propria dieta monotona basata sul pane e sulla polenta e assaggiasse raramente un piatto di spaghetti. La pastasciutta, al contrario di ciò che si pensa comunemente, ha assunto solo recentemente il connotato di cibo universale e popolare a cui siamo abituati oggi. Sta di fatto che nessuna delle prime fonti che descrivono la carbonara la mettono in relazione a questa professione. Solo in seguito, per assonanza, si cercherà un senso al nome di questo piatto cercando di ricostruire a posteriori una storia che non è mai esistita. 

Carbonai bresciani caricano i muli nel 1949

Altri hanno avanzato l’idea che la carbonara sia legata la colore della pasta, nera “come la faccia di un carbonaio”. Il primo a tentare un parallelo, come abbiamo visto nel secondo capitolo, fu Carlo Scorza nel 1958, proponendo che uno degli ingredienti originali fosse il nero di seppia, sostituito ben presto dal tuorlo d’uovo. Ovviamente non esiste alcuna ricetta o descrizione che possa appoggiare tale versione. Una seconda spiegazione si basa sulla quantità di pepe utilizzata nella preparazione, tale da colorare letteralmente il piatto di spaghetti. In realtà nessuna delle prime ricette punta sull’abbondanza di pepe tra gli ingredienti che, in alcuni casi, non è nemmeno citato. È evidente che non è facile stabilire un nesso tra il colore della carbonara, dominata dal giallo dell’uovo e il nero del carbone, per quanto pepe ci si possa mettere.  

Pepe nero, uno degli ingredienti della classica carbonara

Tra le ipotesi meno comuni, a volte viene citata una non bene identificata trattoria romana dove abitualmente si ritrovavano i carbonai (nel senso dei vetturini che vendevano il carbone di porta in porta) in cui si poteva gustare questo insolito piatto. Se fosse esistito questo locale, magari intitolato proprio ai carbonai o al carbone, sarebbe tutto risolto. Come abbiamo visto per gli spaghetti “al Moro” oppure per le fettuccine “Alfredo” la denominazione sarebbe di certo apparsa tra gli scritti di cronisti, cuochi e gastronomi. Purtroppo tale ristorante sembra che non sia mai esistito o, quantomeno, non ha lasciato alcuna traccia. 

Insomma, il nome attribuito a questa ricetta, con cui oggi è conosciuta in tutto il mondo, rimane un grande mistero. 

In realtà esistono un altro paio di ipotesi più realistiche, ma meno conosciute, rispetto a quelle citate finora. 

La prima deriva da un precedente uso del termine “alla carbonara” per identificare una ricetta a base di polenta nel Manuale pratico di cucina di Giulia Lazzari-Turco del 1904. La “polenta alla carbonara” prevede l’aggiunta di burro, fagioli, parmigiano oltre a formaggio e salame o prosciutto tagliati a cubetti. 

Ricetta della polenta alla carbonara nel Manuale pratico di cucina di Giulia Lazzari-Turco

È indubbio che esistano alcuni punti in comune tra le due ricette, in particolare per gli ingredienti (salume e formaggio) tagliati a cubetti. Forse, come sostiene Alberto Capatti, “è probabile che la cucina dei carbonari rinvii a un guazzabuglio di ingredienti variabili in quantità e specie, di costo modesto, ma anche ai valori naturali e schietti di chi si nutre all’aria aperta”. L’ipotesi è che questa ricetta, o altre simili, abbiano fatto scattare un’associazione tra le due preparazioni che ha esteso il nome dalla polenta al neonato piatto di spaghetti. Certo è che la dizione “alla carbonara” non doveva essere molto diffusa e difficilmente poteva indicare una classe di condimenti, tanto che questo è l’unico precedente conosciuto. Un indizio sulla correttezza di questa correlazione, seppure labile, proviene dalla prima versione italiana della ricetta, pubblicata da La cucina italiana nel 1954. Questa versione prevede l’utilizzo del gruviera a cubetti all’interno della carbonara, proprio come indicato nella ricetta della polenta. È possibile che l’anonimo redattore della rivista non conoscesse perfettamente gli spaghetti alla carbonara e abbia suggerito l’inserimento del gruviera per assonanza con la preparazione della polenta, forse a lui più familiare. Ciò spiegherebbe anche perché questo ingrediente non venne mai più utilizzato nella ricetta. Nonostante l’associazione possa essere labile, questa spiegazione rimane a mio avviso la più convincente. 

La seconda ipotesi parte dal presupposo che la ricetta sia stata ideata a Roma al termine della seconda guerra mondiale, utilizzando uovo in polvere e bacon proveniente dalle razioni dell’esercito americano. Ovviamente questi due prodotti, o i loro corrispettivi freschi, non erano di facile reperibilità, visto il razionamento degli alimenti e l’estrema difficoltà a procurarsi anche il minimo indispensabile per sopravvivere. D’altronde le truppe che avevano liberato la città ne erano ben provviste e, come succede in questi casi, nacque un mercato nero in cui circolavano alcuni prodotti alimentari altrimenti introvabili. Come succede in questi casi, con il tipico spirito italiano, chi commerciava illegalmente i prodotti era chiamato “borsaro nero”, con un ovvio (e divertito) richiamo al Corsaro Nero creato da Salgari. Allo stesso modo, la “carbonara” poteva essere un modo per intendere un piatto i cui ingredienti erano stati procurati illegalmente, quindi non un riferimento al colore della preparazione, ma a quello del mercato da cui provenivano gli ingredienti  

Razioni dell’esercito statunitense del 1942

La ricerca del significato del nome “carbonara” a volte è stata sovrapposta a quella della sua nascita, come se la denominazione potesse spiegare le circostanze della nascita della ricetta. Ciò ha fatto versare fiumi d’inchiostro ma, come succede in questi casi, molti hanno ignorato la spiegazione più ovvia anche se meno “romantica”. Il fatto è che esiste la testimonianza diretta e autorevole del cuoco che sostiene di avere inventato la carbonara, cucinandola per la prima volta il 22 settembre 1944. 

Questo racconto, mai smentito, narra dell’incontro dell’ottava armata inglese e della quinta armata americana a Riccione appena liberata. L’alto comando è composto dai generali Harold Alexander (maresciallo e comandante supremo delle forze alleate del Mediterraneo) e Sir Oliver Leese (il successore di Montgomery come comandante dell’VIII armata inglese) accompagnati da Harold Mac Millan (alto commissario nel governo militare alleato in Italia). Fu chiesto di preparare il banchetto a Renato Gualandi un giovane cuoco di origine bolognese che si trovava in città dopo avere raggiunto la futura moglie originaria di Misano. Lo stesso Gualandi, in un’intervista al Corriere della Sera, spiega come sono andati i fatti “Gli americani avevano del bacon fantastico, della crema di latte buonissima, del formaggio e della polvere di rosso d’uovo. Misi tutto insieme e servii a cena questa pasta ai generali e agli ufficiali. All’ultimo momento decisi di mettere del pepe nero che sprigionò un ottimo sapore. Li cucinai abbastanza “bavosetti” e furono conquistati dalla pasta”. Sempre la stessa intervista del 2009 riporta la ricetta originale 

150 grammi di bacon tagliato a julienne tostato con 50 grammi di burro, bagnato con un quarto di crema di latte, 150 grammi di formaggio (gruviera o formaggio tenero). Aggiungere polvere di uovo secco e, a fuoco spento, un rosso d’uovo. Scolare gli spaghetti al dente, facendo attenzione a che non siano troppo asciutti e rimescolare con il composto precedentemente preparato. A piatto ultimato spolverare con pepe nero 

In rete si trovano diverse interviste e ricette di Renato Gualandi ultranovantenne che spiega o mostra come si prepara la carbonara, a volte con piccole differenze, anche se la sostanza rimane invariata. 

Renato Gualandi durante un’intervista in occasione del suo novantacinquesimo compleanno

Cos’è il genio? È fantasia, intuizione, decisione e velocità d’esecuzione”. Trovandosi nella situazione tutt’altro che invidiabile di apparecchiare un pranzo di gala con i viveri a disposizione dell’esercito, Renato Gualandi fece un miracolo e creò una ricetta che gli sarebbe sopravvissuta. Sicuramente non se ne rese conto, né in quel momento, né nei mesi successivi quando fu chiamato a fare il cuoco per le truppe alleate a Roma dal settembre del ’44 all’aprile del ’45. In quel breve periodo la ricetta dovette rimanere così impressa nella mente di quanti la gustarono da meritarsi di essere replicata più volte, trovando un generale consenso. Il nome “carbonara” non esisteva ancora e dovette essere coniato solo dopo (da chi non si sa) e ciò contribuì notevolmente a fissare l’identità della ricetta. 

Questa spiegazione della nascita della carbonara, per quanto possa sembrare banale, riesce a fare combaciare tutti i pezzi della storia vista finora. 

  • La tempistica della nascita nel 1944 si accorda con la prima citazione nel 1951. Questo periodo di sette anni, pur essendo breve, è stato necessario per fornire un minimo di notorietà e dare un nome alla preparazione.  
  • Le due prime citazioni sono italiane, provengono da ambienti romani, nei quali la ricetta aveva trovato il modo di prosperare, e hanno come protagonisti due personaggi profondamente legati alla Capitale come Trilussa e Aldo Fabrizi. 
  • Negli anni immediatamente successivi, citazioni e ricette della carbonara sono perfettamente divise tra Italia e Stati Uniti. Ciò è dovuto all’immediata approvazione accordata dalle truppe anglo-americane di liberazione presenti a Roma. Se si considerano le pubblicazioni tra il 1951 e il 1955 si trova che in Italia appaiono quattro citazioni e due ricette, esattamente come avviene negli Stati Uniti. Contemporaneamente a Londra viene data alle stampe la prima ricetta inglese (i dati e le citazioni le trovate nel secondo capitolo). 
  • Gli ingredienti utilizzati da Renato Gualandi coincidono con quelli delle prime versioni della carbonara, ovvero pancetta (bacon in questo caso) parmigiano/formaggio tenero e uovo. Non c’è traccia di guanciale e pecorino che appariranno solo anni dopo nella composizione della ricetta. 

Nella storia della gastronomia è estremamente raro riuscire a identificare precisamente l’inventore di una ricetta, ma ogni tanto capita. Questo è uno di quei pochi e fortunati casi in cui un cuoco dichiari pubblicamente la paternità di un piatto e non venga smentito da nessuno, almeno fino a oggi. Ciò basta, a mio parere, per ritenerlo una fonte estremamente attendibile. 

Ciononostante, se si cerca di verificare in rete, le versioni più diffuse e accreditate sulla nascita della carbonara rimangono quelle fantasiose di cui si parlava sopra. Le ragioni dell’insuccesso della spiegazione più realistica, che lega il nome della carbonara al suo inventore Renato Gualandi, risiedono nella totale mancanza di una narrazione mitica che ne giustifichi l’antichità e il legame con il territorio. Ovviamente il racconto della carbonara inventata da un cuoco bolognese a Riccione usando le razioni dell’esercito americano nel ’44, mal si accorda con la genesi del piatto più famoso della tradizione romana, ma ciò non rende la storia meno veritiera o plausibile. Certamente ridimensiona le aspirazioni di quanti si richiamano a una ricetta autentica e originale, restituisce invece una dimensione più prosaica e multiculturale, come la società che l’ha partorita. Sicuramente ci sarà sempre qualcuno che, incurante delle fonti storiche, vorrà trovare natali più degni a questo magnifico piatto, anche se, a mio parere, non ce n’è assolutamente bisogno. Mi basta pensare che la carbonara sia figlia della metà del Novecento, nata in un periodo travagliato della storia italiana, quasi per caso in situazione di emergenza e portata alla fama grazie al comune apprezzamento italiano e americano. Personalmente non percepisco il pericolo imminente del crollo del sistema occidentale perché la carbonara non possiede un’origine che si perde nella notte dei tempi. Nello stesso modo, non mi sento in dovere di giustificare a chiunque perché metto la pancetta anziché il guanciale. Penso invece che la carbonara sia frutto della grande capacità, tutta italiana, d’improvvisazione culinaria (e non solo) che riesce a creare un capolavoro nei momenti più difficili della propria storia. 

Come disse Orson Welles ne Il terzo Uomo “In Italia, per trent’anni sotto i Borgia, ci furono guerre, terrore, omicidi, carneficine, ma vennero fuori Michelangelo, Leonardo da Vinci e il Rinascimento. In Svizzera non ci fu che amore fraterno, ma in cinquecento anni di quieto vivere e di pace cosa ne è venuto fuori? L’orologio a cucù”.

 

N.d.a. Se siete arrivati a leggere tutta la storia della carbonara, sappiate che nell’articolo ho tralasciato un particolare abbastanza significativo riguardo una delle ricette degli anni Cinquanta. Metto in palio una carbonara, offerta dall’autore, a chi scopre di cosa si tratta.

 

Per chi volesse saperne di più riguardo alle abitudini alimentari e alla loro trasformazione dal dopoguerra a oggi, consiglio la lettura del citato Storia della cucina italiana di Alberto Capatti uscito nel 2014 per Guido Tommasi Editore.

Si ringrazia la Biblioteca Gastronomica di Academia Barilla per avere messo a disposizione la propria raccolta di ricettari antichi.