Articolo apparso sul sito Dissapore il 27 luglio 2021
Catering all’opera per migliaia di persone, volontari dispersi: la Festa dell’Unità non è più quelle di una volta, soprattutto sul fronte gastronomico. Ma Castelfranco Emilia, patria del tortellino, mantiene spirito (e ripieno).
“Io direi che il culatello è di destra/La mortadella è di sinistra/Se la cioccolata svizzera è di destra/La Nutella è ancora di sinistra/Ma cos’è la destra, cos’è la sinistra”: Era il 1994 quando Giorgio Gaber cantava questi versi e all’epoca stava già finendo il periodo mitologico della Festa dell’Unità, quella che tutti si ricordano con nostalgia. Ma anche all’epoca nessuno aveva dubbi: i tortellini in brodo mangiati ad agosto sono sempre stati di sinistra.
Ancora è così a Castelfranco Emilia, la patria dei tortellini, dove viene organizzata una festa come quelle di una volta. O almeno ci si prova.
La differenza principale che distingue l’organizzazione della Festa dell’Unità e qualsiasi altra sagra è che l’apporto dei privati è ridotto al minimo e praticamente tutto il lavoro viene affidato ai volontari. Anche se oggi è sempre più difficile trovare persone disponibili a sacrificare il proprio tempo per far funzionare queste feste, alcune resistono ancora e mantengono un ruolo centrale tra gli appuntamenti dell’anno, anche in senso gastronomico.
Ma non è sempre così e molte manifestazioni hanno perso quella dimensione popolare e casalinga che contraddistingue la Festa di Bosco Albergati. Un po’ lo si deve alle sue dimensioni, che non richiedono migliaia di persone per funzionare – come succede invece per quelle delle grandi città – ma molto lo si deve al luogo in cui sorge. Prima del 1990 si trattava di una grande distesa di campi coltivati con al centro il rudere di una vecchia villa che venne salvata trasformandola in uno dei più estesi boschi planiziali della regione. Questo progetto non richiamò unicamente le forze che si riconoscevano nel Partito, ma anche tante componenti della società civile che volevano costruire un luogo ospitale per tutta la comunità, iniziando proprio dall’organizzazione di una grande festa. Ancora oggi quel patrimonio non si è disperso e rappresenta lo zoccolo duro della manifestazione e ciò si riflette anche sulla cucina che è rimasta uno dei cardini centrali della manifestazione. Tortellini, tagliatelle, balanzoni o salsicce alla griglia, qui sono tutti cucinati dai volontari di Bosco Albergati che cercano di mantenere quel carattere di festa di paese dei primi tempi.
Questo è lo spirito che pervade la festa, in cui tutti si danno da fare perché abbia successo e continui a rappresentare una forma di finanziamento per il Partito. Nessuno è escluso: dai semplici simpatizzanti fino agli assessori come afferma Alessandro Salvioli, il giovane segretario del PD di Castelfranco Emilia “Quest’anno abbiamo deciso di non rivolgerci a ristoranti del territorio, come era accaduto in passato, e abbiamo cercato di recuperare il vero spirito della Festa dell’Unità, per cui la manodopera impiegata nei ristoranti si basa esclusivamente sui volontari, dai cuochi ai camerieri a chi fa le pulizie. Chi, come me, ha la fortuna di ricoprire un incarico politico – prosegue Alessandro Salvioli – sa che deve molto a questo modo di fare comunità in cui tutti sono chiamati a dare una mano e anch’io sono felice di servire ai tavoli in queste occasioni”.
In cucina scordatevi le brigate che operano sotto l’occhio vigile di uno chef (leggasi: i quasi sempre deludenti catering che fanno perdere ogni senso gastronomico alle Feste dell’Unità) qui si spadella come a casa, con la sola differenza che bisogna fare fino a 400 coperti a serata, dice Marco Melotti, il responsabile della cucina del ristorante Tradizionale di Bosco Albergati.
“Ho sempre fatto il macellaio, adesso sono in pensione, ma qui continuiamo a usare la mia ricetta per il ripieno dei tortellini, la stessa di trent’anni fa: lombo, mortadella, un po’ di prosciutto, parmigiano e noce moscata. Di solito partiamo qualche mese prima a confezionare i tortellini e ci troviamo in un gruppo di 20-25 persone per tirare la sfoglia e chiudere i tortellini a mano. Purtroppo la squadra si assottiglia sempre di più perché sono tutti ultrasettantenni – scherza Marco Melotti – ma per adesso ce la facciamo ancora”. Quest’anno, anche a causa delle restrizioni dovute alla pandemia, non tutto è fatto a mano, ma la priorità è stata data ai tortellini, simbolo del territorio.
Inutile dire che dal 1945, anno della prima Festa dell’Unità, abbiamo assistito enormi cambiamenti, in politica come nella società, ma non tutti la pensano allo stesso modo, come il contadino che continua a regalare un cappone alla settimana per tutta la durata della festa per fare il brodo, proprio come un tempo, quando ognuno portava qualcosa da casa da condividere.
Alla fine li abbiamo assaggiati questi tortellini (anche la salsiccia e la polenta al ragù a dire la verità), rigorosamente in brodo. Le sfogline hanno usato la semola di grando duro al posto della comune farina per la pasta, un accorgimento usato per scongiurare la rottura dei tortellini, ma a parte questa concessione “tecnica” sono un eccellente piatto da gustare anche in piena estate (il brodo, si sa, rinfresca) a un prezzo davvero popolare (9 euro), come lo spirito della festa impone.
A dire la verità avremmo provato volentieri anche le tagliatelle al ragù fatte nel ristorante accanto, ma ci siamo presentati pochi minuti dopo le 22 e la cucina aveva già chiuso. Non c’è stato niente da fare: la domenica sera si chiude presto perché il lunedì mattina i volontari tornano ai loro soliti lavori e anche questo la dice lunga sul carattere che mantiene la Festa dell’Unità.