Amatriciana. Storia, origini e aneddoti di una ricetta mitica

 

Articolo apparso sul Gambero Rosso – Ottobre 2018

Abbiamo cercato di capire qual è l’origine dell’amatriciana attraverso i ricettari “storici”. Ecco cosa abbiamo scoperto.

Molti piatti della tradizione vengono considerati immutabili nel tempo, ideati in un lontano passato e rimasti identici fino a oggi, testimoni del gusto dei nostri antenati. Ricette come quella dell’amatriciana, per esempio, possiedono un’aura eterna e sfidano il susseguirsi delle generazioni come veri e propri monumenti della gastronomia. Fin da piccoli ci siamo abituati al loro sapore e alla ricetta di famiglia, tramandata di generazione in generazione, secondo una precisa formula tradizionale sospesa nel tempo. In realtà non è così.

La tradizione evolve nel tempo

Tutte le ricette, anche quelle più tradizionali si evolvono nel tempo e, a volte, ci si accorge delle variazioni solo a distanza di anni. Iniziamo dicendo che l’amatriciana non è citata da nessun autore antico: non se ne trova menzione in nessuno dei grandi ricettari composti tra la fine del Settecento e l’inizio del Novecento. Ancora, la ricetta dei Maccheroni colla pancetta o col prosciutto riportata nel “Manuale pratico di cucina, pasticceria e credenza”del 1904 di Giulia Lazzari Turco non può essere considerata un’amatriciana vera e propria anche se si possono riscontrare alcune somiglianze. Infine non viene registrata nemmeno dalle pubblicazioni esplicitamente dedicate alle specialità regionali di inizio secolo: tra il 1908 e il 1910 vengono dati alle stampe i primi tre ricettari in cui sono descritti i piatti delle grandi città italiane. Alla voce “Roma” mancano l’amatriciana, la carbonara e la gricia, e non è registrato nemmeno un piatto di pastasciutta propriamente detto. Vengono unicamente descritti primi piatti al forno, come gnocchi e pasticcio di maccheroni, oppure minestre in brodo: di Pasqua, di gnocchi, di semolino e di fave.

La prima ricetta dell’amatriciana

La prima ricetta dell’amatricianaviene invece riportata da Ada Boni nel celebre “Il talismano della felicità” del 1927e la preparazione rivela più di una differenza da quella attuale: il guanciale viene tritato (e non tagliato a cubetti), messo a soffriggere con strutto e cipolla a cui vengono aggiunti pomodori freschi spellati. Gli spaghetti conditi con questo sugo sono serviti con pecorino – oppure parmigiano, o un misto tra i due formaggi – e abbondante pepe. Il dato interessante è che Ada Boni riconosca la tipicità locale della ricetta: “Nonostante il loro titolo provinciale, sono invece un piatto caratteristico della cucina romana, specialità ricercata in molte osterie e trattorie di Roma”.

Prima del 1927 sono rare anche le semplici citazioni del piatto e le prime appaiono sulla carta stampata: nel 1916 nella rivista mensile “Noi e il mondo” (supplemento del quotidiano “La Tribuna”) e l’anno successivo all’interno di un articolo de “La Stampa”, e in entrambi i casi è riportata l’antica denominazione di “spaghetti alla matriciana”. È molto probabile, dunque, che questo piatto dovesse essere già diffuso nel periodo immediatamente precedente alla Grande Guerra, quantomeno nella Capitale, ma considerando l’assenza di altre notizie possiamo stabilire che la sua creazione risalga al massimo agli inizi del secolo.

Pancetta o guanciale? Tritato o a cubetti?

A partire dalla pubblicazione del 1927 l’amatriciana conoscerà la propria fortuna e sarà replicata in diversi ricettari con altrettante varianti, segnandone una lenta ma costante evoluzione. Se si esclude quella di Adolfo Giacquinto del 1931 che riporta praticamente la stessa ricetta del Talismano della felicità, le successive fino al 1948 sostituiscono il guanciale con la più comune pancetta, riducendola di solito a cubetti anziché tritarla. Ancora Felix Dessì ne “La signora in cucina” del 1955 (tra l’altro il primo ricettario italiano a riportare la ricetta della carbonara) propone una versione con un battuto di pancetta, aglio e cipolla, in aggiunta a pomodori spellati e parmigiano o pecorino, a scelta. Per il piccante in questa ricetta è ammesso anche il peperoncino, una strada aperta nel 1937 daH.P. Pellaprat che avrà sempre maggiore fortuna e sostituirà il pepe in quasi tutte le preparazioni. La pancetta tende a scomparire a partire dai primi anni ‘60 lasciando spazio al guanciale e, nello stesso periodo, il pecorino diventa protagonista, senza più varianti o tagli con il più popolare parmigiano. La prima ricetta che si avvicina maggiormente a quella considerata oggi “tradizionale” la troviamo ne “La cucina familiare” del già citato Pellaprat del 1965 e prevede guanciale a cubetti, la polpa di pomodori spellati, pecorino grattugiato, peperoncino oltre all’immancabile cipolla, presente in quasi tutte le ricette fino allo scadere degli anni ’90.

Amatriciana tra le ricette tipiche romane, ma mai quanto i cannelloni

In questo periodo gli spaghetti all’amatriciana sono ormai entrati a pieno titolo nell’olimpo delle ricette tipiche romane insieme alla carbonara, ma esistevano altri piatti tradizionali da cui subivano ancora una spietata concorrenza. Se si si prende, ad esempio, la “Guida gastronomica e turistica d’Italia” del 1960-61, nella città di Roma i ristoranti che pubblicizzano la carbonara e l’amatriciana sono in totale otto (su quarantadue), salomonicamente divisi in quattro per l’amatriciana e quattro per la carbonara, con un solo ristorante che le propone entrambe. È interessante notare che l’importanza di questi due piatti viene completamente eclissata dalle diciotto citazioni riservate ai cannelloni.

La vera (e unica) ricetta dell’amatriciana esiste?

Nel periodo del boom economico l’amatriciana trova una propria canonizzazione che ammette poche, anzi pochissime, varianti e gli ingredienti si attestano definitivamente sul solo guanciale (di Amatrice), il pomodoro, il pecorinoromano e il peperoncino. Sebbene la cipolla sia uno degli ingredienti più longevi della ricetta, presente già nella prima edizione della Boni e proposta da quasi tutti gli autori successivi, oggi tende a essere esclusa dalla preparazione. Non compare ad esempio nel “Disciplinare di produzione della salsa all’amatriciana”, approvato nel 2015 dal Comune di Amatrice, dove viene introdotto, però, il vino bianco per sfumare il guanciale – ignorato invece da quasi tutti gli autori precedenti – e la possibilità di utilizzare i pelati al posto del pomodoro fresco. Il peperoncino diventa facoltativo,mentre il pecorino, uno dei tre pilastri essenziali per la riuscita del piatto, diventa un “abbinamento consigliato”.

Ma la vera domanda è un’altra: tra tutte le varianti che la ricetta ha collezionato in novanta anni di vita, esiste la vera ricetta dell’amatriciana tradizionale? Qualcuno potrebbe dire che è quella originale di Ada Boni, oppure quella della trattoria romana di fiducia dove andate da sempre, ma potrebbe anche essere quella che vi cucinava vostra nonna. In realtà non c’è una risposta più giusta delle altre. Anche se la nonna non sbaglia mai!

 

a cura di Luca Cesari